Vogliamo un'Italia libera, forte, vincente!
lunedì 31 gennaio 2011
mercoledì 26 gennaio 2011
L'adolescenza perduta di Helga...
di Marco Mitrugno
Parlare e scrivere della Shoah non è mai facile. Bisogna trovare le parole giuste, per rendere omaggio ai milioni di persone che hanno pagato con la vita l'appartenenza ad una religione, quella ebraica. Da sempre il popolo ebraico è stato perseguitato, non ha mai trovato pace fin dalla diaspora, avvenuta a cavallo dei secoli VIII e VI a.C.
Ma il culmine della persecuzione verso il popolo ebraico è stato raggiunto nel '900, da quando Hitler salì al potere nel 1933, fino alla caduta del regime nazista nel 1945.
Sono tanti i personaggi ed intellettuali, morti e sopravvissuti ai campi di concentramento, di cui potrei scrivere, ma vorrei soffermarmi su una ragazza che non è riuscita ad uscire viva dal lager dov'era stata rinchiusa: Helga Deen.
Helga nacque nel 1925, quando fu arrestata aveva 18 anni, frequentava l'ultimo anno di scuola superiore, che non riuscì a portare a termine. Tutto cominciò quando i Nazisti occuparono i Paesi Bassi: misero in atto una serie di rastrellamenti, che miravano all'arresto di tutti gli ebrei olandesi. Lei era figlia del responsabile dell'ufficio permessi di trasporto della comunità ebraica del luogo, ciò evitò, fino al 1943, la deportazione a tutta la famiglia Deen. L'incubo della deportazione nei lager si concretizzò nel giugno del 1943: Helga e tutta la sua famiglia fu trasferita nel campo di concentramento di Vugh, che si trovava a pochi chilometri dalla città natale dei Deen.
Nel campo di concentramento Helga cominciò a scrivere il suo diario, che descrive tutto quello che vede. La ragazza si rivolge a Kees van den Berg, con il quale ebbe una relazione amorosa e che non rivide mai più. Alcune parole rivolte a Kees sono:"Forse questo diario ti deluderà perchè non contiene fatti. Ma forse sarai felice di trovare me tra queste righe: i conflitti, i dubbi, la disperazione, la timidezza." Nonostante tutto, riuscì ad avere il diario al suo ragazzo insieme ad altri oggetti personali, come una penna stilografica, alcune lettere e cartoline e una ciocca di Capelli. Un mese dopo la deportazione, la famiglia Deen fu trasferita al campo di raccolta di Westerbrok nelle vicinanze di Midden-Drenthe, in seguito vennero inviati nel lager di Sobibòr in Polonia. Qui il 16 luglio del 1943 la'intera famiglia venne uccisa.
Kees van den Berg mantenne segreto il diario fino al 2004, anno della sua morte; in seguito il figlio di van den Berg, Conrad, lo inviò all'archivio storico di Tilburg. Gli scritti di Helga Deen sono stati pubblicati sotto forma di diario: composto da ventun pagine di impressioni e riflessioni di Helga.
Quella della Deen è una storia molto simile a quella ben più nota di Anna Frank: il paese d'origine è lo stesso, anche la forma per comunicare il proprio malessere nei campi di concentramento è identico, quello del diario. C'è, però, una differenza: Anna Frank scrive durante il periodo di clandestinità e di nascondiglio, Helga Deen riesce a scrivere durante la prigionia.
Ricordare una figura come quella di Helga è un modo per rammentare tutta quella gente che non è mai uscita dai lager e tutte quelle persone che sono uscite vive, ma non hanno retto il dolore (come è successo a Primo Levi). Si deve ricordare ogni anno la tragedia che ha vissuto il popolo ebraico, perchè nonostante si conosca la storia, nonostante si viva nel terzo millennio, si notano atteggiamenti antisemiti e niente meglio della memoria può aiutare a sconfiggere questa malattia del mondo.
martedì 25 gennaio 2011
E allora puniamo l'intercettazione "ingiusta"...
da "Generazione Giovani"
di Marco Mitrugno
La guerra è iniziata da un po’ di tempo, ma durante questi giorni si stanno notando scontri sempre più aspri tra gli esponenti della maggioranza che attaccano i magistrati, e chi li difende. Oramai il premier è logorato: lo ha fatto da solo, si sta suicidando politicamente e cerca di affibbiare la responsabilità di tutto ai magistrati che stanno indagando sul Rubygate, e a Gianfranco Fini, che secondo Berlusconi ha un accordo con i pm, per sovvertire il volere del popolo. Certo, chi crede a questa versione, probabilmente crede ancora alle fiabe e forse lo stesso Berlusconi crede poco alle parole che dice; ma questo non importa, l’importante è aizzare la gente a difendere Silvio, perchè se non ci fosse stato lui adesso ci sarebbero i comunisti. L’ultima genialata (o trovata, scegliete voi il termine più appropiato) se l’è inventata un deputato del Pdl, Luigi Vitali, a cui non basta andare in giro per le assemblee pubbliche organizzate dal suo partito nelle quali spara a zero su Fini. L’idea del deputato è quella di una proposta di legge che dovrebbe punire “l’ingiusta intercettazione”, o meglio, si dovrebbe punire chi ha ordinato di intercettare una determinata persona. Pochi giorni fa Gasparri & co. dicevano che il Pdl porta avanti le battaglie per la legalità, ma davanti a certe proposte la domanda viene spontanea: ma ci state prendendo in giro? Berlusconi e i suoi soldatini per quanto tempo ancora voglio prendere per i fondelli una nazione intera? Portano avanti sempre le solite tesi: il complotto partito nel 1994; il colpo di stato che i magistrati vogliono imbastire; la voglia di Fini di sovvertire il volere del popolo italiano. Forse Berlusconi ha i prosciutti davanti agli occhi: Emma Marcegaglia dice che il governo è assente da sei mesi; la Chiesa cattolica invita alla moralità; Napolitano invita Berlusconi a fare chiarezza. Qualche domanda dovrà anche farsela. Continua a difendere un impero che sta lentamente decadendo. Un consiglio per Silvio: invece di chiedere le dimissioni di Fini (che in passato ha rinunciato al Lodo Alfano) faccia un passo indietro e dimostri all’Italia e al mondo intero, che tutto quello di cui i pm lo stanno accusando è un’invenzione. Se poi avrà ragione, riceverà le nostre scuse.
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lunedì 24 gennaio 2011
Dopo Silvio, Marina: la monarchia è una cosa seria
da "Fare Futuro"
di Federico Brusadelli
Dopo il Sultano, la Principessa. Come sempre, per il bene dell’Italia. Perché se è vero che l’Italia ha bisogno di un sovrano da amare e da acclamare (come ha spiegato bene Marcello Veneziani qualche tempo fa), ci sarà pur bisogno di un erede pronto per insediarsi a Palazzo Chigi e prendere le redini del governo allorché il re padre salirà al Quirinale per (ri)prendere il posto che gli spetta. Ebbene, l’erede è pronto, finalmente. Anzi, è pronta. Perché – in molti già lo sospettavano – la designata è donna (così sono contente anche le femministe) e si chiama Marina.Gaincarlo Lehner, parlamentare del Pdl che ha il dono della chiarezza (in passato, ad esempio, ne diede prova chiedendo che qualcuno andasse “a menare i finiani”), ha rivelato quel che in verità si intuiva da un po’: «Premesso che Berlusconi è il premier liberamente eletto, nonché amato, amatissimo dagli italiani, e che soltanto un colpo di Stato militar-poliziesco potrebbe defenestrarlo, nella successione a Silvio, nel 2013 o nel 2016 (in caso di elezioni anticipate), io non vedo né Tremonti, ministro eccelso, eppur del tutto privo di carisma, né Gianni Letta, persona stimabilissima, pure lui acarismatico financo ad Avezzano. No, a Re Silvio, assiso al Quirinale, per il bene del Pdl e la disgrazia infinita di Fini, non potrà che succedere una donna preparata, intelligente e tosta come la principessa Marina Berlusconi».Ma sì, ormai giochiamoci il tutto per tutto. E vale la pena di dirle senza bavagli né autocensure, le cose. Basta. Non è più tempo di perbenismi (roba da parrucconi), o di ipocrisie “repubblicane”, di regolette del bon ton democratico. Il Pdl è un partito monarchico sì o no? E allora, è bene pensare al passaggio di consegne prima che sia troppo tardi. Prima che ci pensino altri.Oddio, che il Popolo della libertà fosse un partito a vocazione monarchica più che maggioritaria e dinastica più che plurale, si era intuito già da un po’. E l’Italia trasformata in un quasi-reame (anzi, un quasi-sultanato, per la verità) non è più materia da barzellette ma da cronache politiche. Per questo fa bene, il buon Lehner, a mettere in guardia le aspiranti teste coronate. Non c’è trippa per gatti: la monarchia è una cosa seria.
domenica 23 gennaio 2011
Se il Pdl difende la Minetti...
di Marco Mitrugno
"Nicole Minetti 4 President". Probabilmente sarà questo il prossimo slogan del Pdl. Già, perchè se da una parte c'è una ragazza, Sara Giudice, coraggiosa militante del Pdl, dall'altra c'è Nicole Minetti, consigliere regionale del Pdl in Lombardia. Il motivo della disputa: la raccolta firme avviata da Sara Giudice per chiedere le dimissioni della Minetti.
Tutto è cominciato con l'avvio delle indagini da parte della procura di Milano sui festini organizzati da Berlusconi. In tutta la vicenda, la Minetti assume un ruolo da protagonista, infatti secondo i pm la consigliera regionale "reclutava" le ragazze che avrebbero fatto compagnia al premier.
Sara Giudice non ha retto la situazione e, giustamente, ha lanciato la raccolta di firme per chiedere le dimissioni della consigliera. I vertici del Pdl lombardo si sono mossi, ma nella direzione sbagliata: qualche giorno fa Podestà ha dichiarato che l'iniziativa non è promossa dai giovani del Pdl; dopo di lui Formigoni ha seguito la linea dettata in precedenza, dicendo che la raccolta firme è estranea al (fu) Pdl. I due dirigenti berlusconiani, non si sono resi conto di una cosa: la petizione sta riscuotendo grande successo anche all'interno dello stesso partito berlusconiano. E questo è un fatto da non sottovalutare.
Inoltre si sono dati alla latitanza i coordinatori nazionali della Giovane Italia, Giorgia Meloni e Annagrazia Calabria. La prima ha già espresso la sua opinione sulla questione Ruby, difendendo a spada tratta Berlusconi e, forse, per questo ha deciso di non spendere altre parole anche a difesa di Nicole Minetti; la seconda, da berlusconiana doc, non ha ancora aperto bocca, ma non ci sarebbe da stupirsi se la Calabria scendesse in campo a favore dell'ex soubrette. Non dimentichiamo che le loro carriere politiche sono molto simili: sono arrivate ai vertici del partito non grazie alla militanza e all'attività politica quotidiana, ma grazie alla simpatia che Berlusconi esprime verso di loro.
Comunque non è uno scandalo vedere il Pdl che difende una persona indagata, ricordiamo i casi Verdini, Brancher, senza dimenticare l'accesa discussione tra Bondi e Fini sul caso Cosentino.
Nonostante tutto i pidiellini si vantano delle vittorie sulla mafia, degli arresti dei vari boss, per i quali deve essere riconosciuto un certo merito a Maroni e al governo; ma sulla questione legalità gli esponenti del Pdl predicano bene, ma razzolano male: perchè se da un lato si vantano di esser riusciti a dare un forte colpo alla criminalità organizzata, dall'altro si ostinano a difendere fino alla fine un presidente del Consiglio che della legalità sembra fregarsene. E ciò che stupisce ancor di più è che la difesa più forte è praticata dalla corrente di destra (se così si può chiamare) del partito, ovvero dai vari Gasparri, Meloni e Mantovano, ovvero da chi chiede che i condannati per mafia non siano ricandidati nelle liste di qualsivoglia partito.
La raccolta firme e la conseguente richiesta di dimissioni della Minetti sono azioni più che fondate. Probabilmente non servirebbero a convincere Berlusconi a fare un passo indietro, ma li farebbero capire che il suo è un sistema ormai logoro, che sta per cadere.
giovedì 20 gennaio 2011
Per piacere, mettiamo fine a questo spettacolo
di Marco Mitrugno
Per piacere, basta. Non ne posso più. Non ne posso più di questo presidente del Consiglio, che si sente libero di insultare le istituzioni dello Stato, come la magistratura. Non ne posso più di un presidente del Consiglio che crede di essere onnipotente; che crede di essere immune da ogni tipo di indagine, da ogni tipo di critica. Non ne posso più di un presidente del Consiglio che getta del fango sull'immagine della nostra nazione, che lede l'immagine dignitosa che l'Italia si è costruita anno dopo anno.
Questo (potrebbe) essere il capitolo finale di uno spettacolo durato diciassette anni, di uno spettacolo che era cominciato con i migliori auspici, ma che sta terminando nel peggiore dei modi.
Un presidente che temeva di essere logorato dai "traditori" finiani, ma che si sta logorando da solo con il suo atteggiamento arrogante, che mira a voler ergere una figura pia di se stesso e che vuol rovinare i politico (e non) che lo attaccano.
Nessuno vuol negare a Berlusconi il diritto a difendersi, anzi deve difendersi; il premier ha il dovere di chiarire la sua posizione. Se veramente Berlusconi è innocente, se veramente non vuol rovinare ulteriormente la sua immagine, deve presentarsi davanti ai giudici e dire che quelle dei magistrati sono solo invenzioni. Ma ha già annunciato che non lo farà. Bene, così non fa altro che aggravare la sua posizione. Dovrebbe sapere che le risposte ai pm si danno durante gli interrogatori, non tramite le trasmissioni delle proprie reti o tramite videomessaggi.
Oltre al terremoto politico, l'indagine ha scaturito altri malumori: questa volta nei sindacati della Polizia e degli infermieri. Infatti i sindacati delle due categorie si sono indignati dopo aver appreso dalle intercettazioni telefoniche, che nei presunti festini di Arcore le ospiti indossavano abiti da infermiere e poliziotto.
Credo che sia giunta l'ora in cui Berlusconi capisca che il suo tempo è finito; il premier indichi chi deve prendere la guida del governo. Al paese serve altro: non serve parlare di gossip, servono misure per combattere la disoccupazione giovanile; servono provvedimenti che diano una spinta alla crescita economica dell'Italia. Ma fin quando ci sarà lui saremo tutti fossilizzati sul bunga bunga.
domenica 16 gennaio 2011
L'uguaglianza? Una panzana
da "Il Fatto Quotidiano"
di Massimo Fini
Su Libero di mercoledì, il giorno prima che la Corte costituzionale decidesse sul “legittimo impedimento”, Franco Bechis portava il suo contributo alla Causa affermando che il principio per cui tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge è “un’assoluta panzana“. La legge, dice, non è, e non è mai stata, uguale per tutti. E cita i privilegi di cui godono deputati e senatori, alcuni garantiti costituzionalmente, dall’articolo 68, altri di nuovo conio. Quindi dice Bechis che ci scandalizziamo a fare per il “legittimo impedimento”, dato che la legge non è, e non è mai stata, uguale per tutti? Privilegio più o privilegio meno che importa visto che ilprincipio di uguaglianza è già stato intaccato e proprio dalla Costituzione? Chi pone quindi il principio dell’uguaglianza contro leggi tipo “legittimo impedimento” o “lodo Alfano” è un ipocrita.
Fin qui Bechis. Cui si potrebbe far notare che i nostri Padri costituenti quando nel 1948 vararono l’articolo 68 con le sue guarentigie per i parlamentari avevano in mente un’altra classe politica. Erano uomini con una mentalità e una moralità ottocentesca, quando onestà, rigore, pudore erano valori da tutti condivisi, l’uomo politico doveva essere il primo a dare il buon esempio e un ministro si suicidava per la vergogna perché accusato di aver portato via dal suo ufficio un po’ di cancelleria.
Ma la classe politica cui pensavano i nostri Padri costituenti oggi non esiste più. Oggi un ministro si fa pagare la metà della casa. Ci sarebbe da seppellirsi per la vergogna anche se non si fosse un ministro ma un normale cittadino. E invece il ministro va in televisione, diventata ormai il quarto grado di giudizio in Italia, e con la più grande faccia tosta racconta che lui non si era accorto che qualcun altro aveva pagato la casa al posto suo. Il premier Berlusconi, che è il quinto grado di giudizio, per gli amici e soprattutto per sé (a lui basta giurare sulla testa dei suoi figli e di suo nipote per escludere di aver commesso dei reati e autoassolversi) dà la sua pubblica solidarietà al ministro e ci vorrà del bello e del buono per convincere Scajola che è andato al di là di ogni decenza e a dimettersi. Ma possiamo scommettere che prima o poi lo vedremo rispuntare all’onor del mondo politico.
È solo un esempio di che cos’è la classe politica oggi, di che cos’è oggi un Parlamento dove siedono oltre cento fra inquisiti e condannati. Una banda di ladri, di mafiosi, di profittatori, di nulla facenti. Quei privilegi che i nostri Padri fondatori generosamente gli garantirono non li meritano più e dovrebbero essere aboliti invece di aggiungerne altri (il “privilegio sul privilegio” è un animale che esiste solo in Italia).
Ad ogni buon conto, Bechis, volendo salvare Berlusconi, finisce per smascherare la democrazia liberale. Questa infatti rinuncia all’uguaglianza sociale, ritenuta utopica ma, almeno nei testi dei suoi ideatori (Stuart Mill, Locke) deve essere fermissima su quella formale. Se cade questo pilastro cade tutto il Palazzo della liberaldemocrazia, così come un tempo cadde il sistema feudale quando i nobili a petto dei privilegi di cui godevano (molto simili a quelli di cui gode oggi la nostra classe politica) non ottemperarono nemmeno più agli obblighi che li compensavano. Allora questa truffa finì in un bagno di sangue. Vedremo che fine farà, prima o poi, la truffa della cosiddetta liberaldemocrazia.
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giovedì 13 gennaio 2011
Democratici allo sbando: il partito si spacca anche su Fiat
da "Generazione Giovani"
di Marco Mitrugno
Adesso per un po' di tempo ciò che affollerà le pagine dei giornali dedicate alla politica, sarà il dibattito sulla sentenza riguardante il legittimo impedimento. Non dimentichiamo che è in piedi un altra questione che sta arroventando gli animi: la questione dello stabilimento Fiat di Mirafiori. La Fiom e la Cgil, come tutti sappiamo non hanno firmato l'accordo, a differenza degli altri sindacati. I rappresentanti dei sindacati (Cgil e Fiom) hanno assunto una posizione molto ferma,, non accettano la proposta di Marchionne e non la accetteranno mai. L'affermazione dello stesso Ad Fiat ("Lasceremo l'Italia se l'accordo non passerà"), deve essere vista come una provocazione, mi sembra difficile immaginare l'Italia senza Fiat e la Fiat fuori dall'Italia. E' diversa la situazione che si è venuta a creare con la frase pronunciata da Berlusconi:"Se dovesse vincere il no, la Fiat fa bene ad andar via." Il giudizio è diverso perchè Marchionne può aver pronunciato quelle parole per "stimolare" gli operai a votare il sì al referendum; Berlusconi, invece, afferma parole che vanno contro l'Italia da un bel po' di anni e in questi ultimi giorni ne ha sparate due a distanza di poco: la prima a Berlino, definendo i giudici un patologia, la seconda è l'affermazione riferita alla Fiat.
La questione è un'altra. Su questo tema, che è molto delicato, d'altronde riguarda un buon numero di lavoratori, la sinistra è stata sempre unita (o quasi). Infatti l'unico partito che si è mostrato spaccato è stato il Pd e non è una novità, con un'ala a favore dell'accordo e un'altra contro. Su questo argomento la sinistra italiana sta dando la peggiore immagine di se: la storia classifica la sinistra come la parte progressista, ma in questo caso sta dando dimostrazione di essere una forza ultraconservatrice, rischiando di scippare lo scettro del conservatorismo al Pdl Gli slogan che si sentono in questi giorni sono hanno un retrogusto vecchio. Tutti fanno riferimento "alle conquiste del passato", che rischiano di "essere perduti" con questo accordo. La Fiom e la Cgil dimostrano di non volersi adeguare all'economia globale, anzi, sembra che si vogliano escludere; c'è chi veramente ha difficoltà a trovare un posto di lavoro, con un salario dignitoso, che permetta, per lo meno, di arrivare alla terza settimana del mese.
Marchionne non lede i diritti; i cinque minuti in meno di pausa non possono essere considerati come un passo indietro dal punto di vista dei diritti dei lavoratori. Inoltre, anche le norme anti-assenteismo possono essere considerate tali. Gli operai, la Fiom, la Cgil facciano prevalere il buon senso.
lunedì 10 gennaio 2011
Se la "narrazione" di Nichi diventa la solita storia...
da "Fare Futuro"
di Federico Brusadelli
E così Nichi Vendola ha scelto. Ha scelto di essere “minoranza”, ha scelto di giocare la carta dell’appartenenza, ha scelto la strada della “identità” e della bandiera, declinata in questo caso nelle forme di un operaismo vecchio stampo e intrinsecamente antiriformista. Tutto questo mentre chiede al Pd di lavorare per mettere in piedi una “coalizione riformatrice” per il paese. E il primo passo è che il governatore della Puglia annuncia la sua presenza davanti ai cancelli di Mirafiori, assieme alla Fiom. Dunque mentre si sforza di costruire un “nuovo racconto” che parli al paese, che unisca e ricompatti un’Italia sfilacciata, mentre elenca sogni e aperture, mentre investe nei suoi “cantieri” postideologici, mentre invoca una nuova stagione per il centrosinistra e per l’Italia, il leader di Sel si ritrova alfiere di posizioni economiche conservatrici e “di parte”. C’è qualcosa di schizofrenico, nelle posizioni di Vendola. Ed è un peccato. Davvero. Perché l’idea di una nuova sinistra “osmotica” e sorridente, nemica dello scontro antropologico e felicemente patriottica (seppure a suo modo), impegnata a ridisegnare i propri confini e i propri contorni, con una nuova classe dirigente e una nuova piattaforma, con il coraggio di chiamarsi “sinistra” e allo stesso tempo di guardare avanti, oltre la fine del Novecento, ecco, quell’idea era bella. Era un buon investimento, per il futuro del nostro paese. Ma davanti ai cancelli della Fiat, il governatore pugliese tradisce quel sogno. Si allontana dall’orizzonte della leadership di un nuovo centrosinistra (contraltare di un “nuovo centrodestra”, si spera) per cedere al richiamo della “riserva indiana”, delle vecchie parole d’ordine. Insomma, la sua “narrazione” si restringe. E rischia di diventare nulla di più della solita, vecchia storia…
sabato 8 gennaio 2011
La bella comicità di Checco
di Marco Mitrugno
E' nelle sale cinematografiche dal 5 gennaio, ma sta sbaragliando la concorrenza. Sta incassando milioni e milioni di euro, nonostante sia in programmazione da soli cinque giorni. Sto parlando del nuovo film di Checco Zalone, "Che bella giornata". Il nuovo film del comico pugliese è davvero un toccasana, è in grado di far ridere a crepapelle, ma allo stesso apre gli occhi e fa riflettere lo spettatore su alcune tematiche attuali.
Checco è un pugliese che da trent'anni vive in Lombardia; il suo sogno lavorativo è quello di entrare nellì'Arma dei Carabienieri, ma non vi riesce. Così viene assunto presso il museo dell'arcivescovato ed in seguito viene spostato per fare il guardiano alla Madonnina del duomo di Milano.
Lo stesso Checco non è a conoscenza che la Madonnina è bersaglio di un attaco da parte di terroristi isalmici. La ragazza del gruppo di terroristi deve tentare di sedurre Checco, ci riesce e si guadagna la fiducia del comico. Tra una risata e l'altra, che diventano quasi compulsive, il film "lancia" vari messaggi allo spettatore, come quando il protagonista con una frase lancia l'argomento del trattamento che le donne subiscono dagli integralisti islamici. Zalone costruisce una serie di legami familiari che risce a fargli ottenere tutto, dall'albero d'ulivo da parte del cugino agente della forestale, ai botti di capodanno illegali che li vengono donati da parte dello zio maresciallo dei Carabinieri.
Il comico riesce a far ridere raccontando la festa di un battesimo che si svolge ad Alberobello, prendendo in giro i luoghi comuni tipici del sud Italia ed in particolare. Ma lo fa senza volgarità, senza andare ad attacare un popolo "caldo" come quello pugliese.
Da un altro punto di vista, invece, ammira l'unità delle famiglie del sud: nella stessa festa di battesimo, si nota come un'intera comunità familiare si ritrovi a festeggiare il primo sacramento di un nuovo arrivato nel nucleo e mette in risalto l'abbondanza di doni, che da un certo punto di vista appare come un esagerazione, ma dall'altro è sinonimo di fratellanza.
Ma bisogna anche dire che il film presenta un cast d'eccezione con Rocco Papaleo, Ivano Marescotti (già presente nel precedente film del comico) e Tullio Solenghi, insieme a Caparezza, che interpreta se stesso.
Insomma Checco Zalone riesce a far ridere ed a far uscire dalla sala con il sorriso stampato in facci lo spettatore, che è divertito ma anche riflessivo, perchè quello di Zalone non è il solito cinepanettone volgare senza nessuna riflessione dietro; è un film divertente, libero da qualsiasi doppiosenso. Quella vista nel film del comico pugliese è una comicità bella ed intelligente.
giovedì 6 gennaio 2011
Ricordando Acca Larentia...
di Marco Mitrugno
Era il 7 gennaio 1978. Come sempre i ragazzi del Fronte della Gioventù si ritrovavano nella sezione di via Acca Larentia, per partire insieme per un volantinaggio. Sembrava una giornata di militanza classica, i ragazzi dovevano distribuire i volantini che pubblicizzavano il concerto del gruppo di musica alternativa di destra degli "Amici del Vento". Purtroppo i ragazzi non immaginavano cosa gli stesse aspettando fuori dalla sezione. Infatti appena usciti dal sede del Msi, cinque militanti del FdG furono sommersi dai colpi sparati da diversi militanti di estrema sinistra. Morì sul colpo Franco Bigonzetti, ragazzo di vent'anni iscritto al primo anno di università. Vincenzo Segneri fu ferito ad un braccio, ma nonostante tutto riuscì a rientrare nella sezione . Francesco Ciavatta fu ferito e tentò di scappare utilizzando la scalinata adiacente la sezione del partito, ma fu inseguito e colpito dagli estremisti di sinistra e morì in seguito, durante il trasporto in ospedale.
In poco tempo la notizia dell'attacco alla sezione di Acca Larentia si diffuse nella capitale; arrivarono nei pressi della sede del Msi i maggiori esponenti come Giorgio Almirante e Gianfranco Fini, che era segretario nazionale del Fronte della Gioventù.
In seguito scoppiarono tafferugli tra i giovani missini e le forze dell'ordine: tutto fu provocato da un gesto di un giornalista che distrattamente gettò un mozzicone di sigaretta nel sangue delle vittime che si trovava sul selciato. Proprio in seguito agli scontri fu ucciso, da un colpo sparato da un carabiniere, Stefano Recchioni. I giovani missini scatenarono una guerriglia urbana, l'obiettivo era uno solo: la vendetta contro i compagni. Per due giorni la tensione fu alta, ma per fortuna non ci furono altre vittime.
Gli assassini dei ragazzi del FdG non sono mai stati condannati ed in seguito si scoprì che la mitraglietta Skorpion usata nell'attentato alla sezione missina, fu utilizzata in altri omicidi compiuti dalle Br.
La vicenda di Acca Larentia deve far riflettere. E' una delle pagine più brutte della storia repubblicana d'Italia. La violenza inaudita che si scontrò contro i giovani missini è la degenerazione della politica, il servizio all'Idea che si trasforma in violenza e morte. Ecco perchè anche oggi la politica deve cambiare, deve dire basta alle tifoserie e agli ultras. La classe dirigente pensi ai veri problemi della Nazione, invece di sparare sul "fascista" o sul "comunista" di turno.
La strage di Acca Larentia deve essere un monito, si ritorni alla politica con la P maiuscola, quella vera, quella della militanza e del servizio al proprio ideale tramite gli strumenti "classici" come il volantinaggio.
Il modo migliore per ricordare quei tre ragazzi è impegnarsi al meglio e credere fermamente nelle proprie idee. Le strumentalizzazioni non porteranno mai a nessun risultato.
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mercoledì 5 gennaio 2011
Caso Battisti: si rompano i rapporti commerciali
di Marco Mitrugno
Martedì tutti i partiti della scena politica italiana hanno organizzato sit-in e presidi per protestare contro la mancata estradizione di Cesare Battisti da parte del Brasile. Finalmente si è vista una classe politica responsabile e unita almeno su un argomento, anche se si poteva fare meglio, perchè invece di mettere in scena gli avvicendamenti in piazza, organizzare una manifestazione unitaria avrebbe fatto notare come la vicenda Battisti non abbia colore politico.
Ma questa è un'altra storia, anche perchè l'idea di vedere tutti i partiti in piazza per lo stesso motivo è utopia all'ennesima potenza (almeno in questo momento storico).
Vorrei puntare i riflettori sul comportamento che il governo ha deciso di portare avanti. Il Pdl scende in piazza, Berlusconi incontra Torregiani e Frattini dice di volersi rivolgere alla corte de L'Aja. In seguito a tutto ciò il premier dichiara che i rapporti tra Brasile e Italia non cambieranno. A questo punto la domanda sorge spontanea: a che gioco sta giocando l'Italia? Il governo vuole ottenere o meno l'estradizione del terrorista?
Se è così Berlusconi decida di rompere o quanto meno interrompere temporaneamente i rapporti commerciali con il Brasile, fin quando i sudamericani non decideranno di riconsegnare Battisti alla giustizia e al popolo italiano.
Questa è l'ennesima dimostrazione che la politica estera italiana non è la migliore. A partire dal far allestire un circo nel bel mezzo della città eterna e far promuovere l'islamismo nella capitale del cristianesimo mondiale. Senza passare dalla Russia, dove governa il miglior amico di Silvio, Putin (il dono di Dio), a cui vorrebbe affidare una cattedra per insegnare il liberalismo. Lui che fa uccidere i giornalisti e che ha i trascorsi nel Kgb.
La scelta di non interrompere i rapporti con il Brasile è l'ennesimo errore in politica estera del governo. L'unica cosa che si chiede è che Berlusconi torni indietro sui suoi passi e rompa per il momento ogni rapporto commerciale con il paese Sudamericano. Per una volta deve lasciare da parte i suoi interessi economici e fare gli interessi di una Nazione, che vuole giustizia in nome delle vittime e dei familiari della gente uccisa.
lunedì 3 gennaio 2011
Panico Berlusconiano? Con Fini rinasce la Destra
da "Il Secolo d'Italia"
di Alfredo Borgorosso
Massimo Fini, scrittore e polemista di razza, ricorda di aver ricevuto la più lunga «standing ovation della carriera, nel 1985 a Taormina. Ero con Giorgio Almirante ad una convention dei giovani del Msi. Ricordai che per me era inspiegabile l'atlantismo di certa destra..». Firma de Il Fatto quotidiano, direttore del mensile La voce del ribelle, è un disincantato osservatore delle vicende italiane. Segue invece con passione l'evolversi degli scenari geopolitici internazionali, «deluso dalla scarsa tensione per l'interesse nazionale declinata dalle nostre classi dirigenti».
Fini, "mala tempora" per la politica italiana?Una premessa è doverosa: delle vicende di Palazzo mi interessa poco. Per me conta molto di più quello che succede in Afghanistan.
Nessuno ci impedisce di parlare anche di politica estera...Bene. Allora abbiamo assistito negli ultimi mesi ad una fase interessante. Si è registrato il disfacimento del Pdl e del suo leader, una disgregazione politica e anche umana. La stessa passione smodata per le giovanissime del Cavaliere, che mi guardo bene dal condannare, è un segno di senilità... Prima o poi, più prima che poi, questo impero berlusconiano cadrà. La novità è stata lo strappo di Gianfranco Fini, con una distinzione coraggiosa, ma venuta molto tardi.
Il sistema tendenzialmente bipolare sta mostrando crepe?Si sta formando una nuova aggregazione nella quale la parola "moderato" può avere un senso. Berlusconi e i suoi sono tutt'altro che dei moderati. Sono energumeni, lo si è visto.
Non c'è più un solo centrodestra in Italia...Prima si è allontanato Casini, che rappresentava l'impianto democristiano, ora si è aggiunta la posizione della destra di Fini: una rottura mai vista negli ultimi sedici anni. Non era possibile definire con questa categoria, quella di "destra", un partito come il Pdl, che attacca ogni giorno la magistratura, scardinando il riferimento alla "legge e ordine".
Potendo aggiungere all'ultimo suo libro, "Senz'anima, Italia 1980-2010", un ritratto di un personaggio politico che l'ha sorpresa, su chi si soffermerebbe?In tanti mi hanno compito in negativo. Nel bene, mi piacerebbe raccontare Italo Bocchino. Nel dibattito sulla fiducia alla Camera ha detto cose chiare e di destra.
Il 14 dicembre è la data spartiacque nell'ex maggioranza di governo?Il mondo che veniva dal Msi e An ha ritrovato con Fini la sua anima. Ovviamente diversa da quella un po' truce dei tempi della Fiamma. L'alleanza con Berlusconi ne aveva cancellato la ragione sociale.
Intanto nel Paese si è sviluppata una forte protesta giovanile.Un disagio autentico ha attanagliato le piazze studentesche. Non si è trattato solo di una contestazione per una legge più o meno sbagliata. I giovani, che hanno maggiori energie degli anziani altrettanto arrabbiati, hanno dato una rappresentazione di un malessere più profondo.
Che differenze ci sono tra i moti del Aessantotto e quelli recenti di Roma?Il movimento studentesco, promosso da giovani della borghesia guardati con sospetto dalla classe operaia, cavalcava una ideologia morente, il marxismo-leninismo. Fu un bluff nei suoi dirigenti, che ambivano - come poi è avvenuto - a diventare direttori del "Corriere della Sera"... L'attuale protesta giovanile è sintomo della crisi dei ceti medi, che vivono ai margine della soglia di povertà. Non ci sono motivazioni ideologiche ma esistenziali.
Chi è più avanti nell'ascolto di queste sollecitazioni?Nessuno. La classe politica è troppo distaccata dal resto del Paese. E quando intercetta certe proposte, lo fa strumentalmente... In futuro ci saranno sempre più frequenti manifestazioni di piazza, soprattutto con l'impasse economico che viviamo.
Quale sarà la strada di una forza repubblicana, sociale e nazionale?È attesa da un cammino ardito. Il berlusconismo ha corrotto non solo tanti parlamentari ma anche buona parte dell'elettorato. Ma Fli offre una nuova casa alla destra. Nel Pdl ormai è difficile trovare una persona per bene.
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