di Marco Mitrugno
Dopo la fiducia che il Governo ha incassato venerdì 14 ottobre, sostenitori ed esponenti politici di rilievo del Pdl, andavano in giro per le televisioni e le redazioni dei giornali, dicendo cheadesso si potevano fare le riforme: il decreto sviluppo (per tentare di far riprendere l’economia italiana) e l’immancabile riforma della giustizia, che, come ognun vede, in un momento di crisi globale come quello che stiamo vivendo è una priorità.
Ma non hanno fatto nemmeno in tempo a pronunciare la parola “decreto” (doveva essere approvato la scorsa settimana, peraltro), che Berlusconi ha “chiarito” la situazione dicendo che non ci sono soldi per redigerlo.In più ha aggiunto che non c’è fretta, e in effetti non ha torto: la crisi attacca continuamente i mercati dal 2008, siamo sull’orlo del default e (ovviamente) non c’è nessun motivo per correre, perché, si sa, in Italia abbiamo il miglior ministro dell’economia che ha già messo in ordine i conti. Che fretta avremo mai?
Ma non hanno fatto nemmeno in tempo a pronunciare la parola “decreto” (doveva essere approvato la scorsa settimana, peraltro), che Berlusconi ha “chiarito” la situazione dicendo che non ci sono soldi per redigerlo.In più ha aggiunto che non c’è fretta, e in effetti non ha torto: la crisi attacca continuamente i mercati dal 2008, siamo sull’orlo del default e (ovviamente) non c’è nessun motivo per correre, perché, si sa, in Italia abbiamo il miglior ministro dell’economia che ha già messo in ordine i conti. Che fretta avremo mai?
Peccato che la gente non riesca ad arrivare a fine mese, mentre la BCE chiede sempre più insistentemente la riforma delle pensioni, le liberalizzazioni e le privatizzazioni. Inoltre ci si mettono anche gli imprenditori a fare da guastafeste, dicendo “il tempo è scaduto”, e Napolitano che chiede al Governo di darsi una mossa. Poi si scopre che i ministri Romani e Calderoli vogliono liberalizzare le imprese di facchinaggio, in modo tale da favorire la nascita di nuove aziende. Scelta saggia, cominciamo dalle cose importanti: a cosa serve liberalizzare gli ordini professionali, come quello degli avvocati o dei giornalisti? E poi c’è (ci sarebbe) anche il capitolo dedicato alle privatizzazioni, che sono utili per fare cassa e per togliere dalle mani della politica aziende come la Rai o le Poste.
Insomma, l’Italia è in mano ad un Governo immobile ed incapace di prendere decisioni, anche impopolari.Berlusconi e tutto il suo entourage sono impegnati a sopravvivere e non a tentare di far riprendere il Paese. Magari, se si sforzassero di occuparsi dell’economia nazionale, avrebbero aperto all’ipotesi di Governo tecnico, che possa dare fiducia ai mercati.
Ma si sa, Silvio non si sarebbe mai piegato alle richieste dell’opposizione ed in particolare del Terzo Polo. E la dimostrazione l’ha data nel giorno del voto di fiducia: pur di rimanere a Palazzo Chigi, ha riproposto gli stessi punti che descrisse nel settembre del 2010. Poi succede che uno come Aznar (non un komunista russo con la foto di Stalin sul comodino) sia ospite di Ballarò e dica che l’Italia, come la Spagna, dovrebbe proporre un’alternativa politica seria, che abbia come obiettivo la crescita industriale. Alternativa che, però, non c’è.
Se da una parte il Terzo Polo propone un governo di unità nazionale oppure un governo con la maggioranza eletta nel 2008, ma non guidato da Berlusconi, dall’altra parte il triumvirato Bersani – Di Pietro – Vendola chiede quotidianamente le dimissioni del premier
Ma la sinistra italiana è capace di proporre un’alternativa credibile? I presupposti fanno intendere che la risposta è no. Il primo fattore è l’eterogeneità dei partiti che dovrebbero comporre la coalizione di centro-sinistra: Vendola è legato a idee e stereotipi ormai vecchi; il Pd è (come il Pdl) confuso e diviso tra le varie correnti; l’Idv è un partito manettaro che non può che produrre molto attrito con i democratici. Ma, oltre a queste constatazioni, c’è da dire che un eventuale governo di sinistra difficilmente porterebbe a termine le riforme richieste da Draghi e Trichet.
Perché? Il motivo sta soprattutto nella presenza di Vendola, legato (ora più che mai) ad una politica economica statalista; c’è anche Di Pietro, che ha promosso il referendum abrogativo sulla legge che “privatizzava” i servizi idrici; infine c’è il Pd che dice di voler privatizzare e liberalizzare, ma poi si smentisce.Ricordate lo scorso giugno? Bersani & co. facevano la campagna pro-referendum, perché pensavano (sbagliando), che se avesse stravinto il Sì, come è accaduto, Berlusconi sarebbe andato a casa.
Ed allora, ecco che, dopo la lettera di Trichet, il Pd è tornato all’attacco parlando di liberalizzazioni, ma allo stesso tempo viene contraddetto da Vendola e dagli Indignados. A questo punto Bersani si trova ad un bivio: sponsorizzare gli Indignados e aprire ad una politica neo statalista? Oppure imboccare la strada tracciata dalla BCE?
Ed allora, un’altra domanda sorge spontanea: in questo periodo, la politica è in grado di raggiungere un minimo accordo, per non far sprofondare ancor di più l’Italia? Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto, domani scadrà – dicono – l’ennesimo ultimatum.
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