mercoledì 2 novembre 2011

I giovani, la crisi e il lavoro



di Marco Mitrugno

Nel periodo di crisi finanziaria che stanno vivendo l’Italia e l’Europa, le incognite sono tante. Incognite che crescono giorno per giorno, visto lo scarsi impegno del Governo in questa materia. Tra le manifestazioni degli indignati, le riforme (tardive) volute da Berlusconi e una sinistra sempre più incerta, la gente, che vive il disagio finanziario giorno per giorno, non sa a che santo votarsi. La soglia di povertà si abbassa e i giovani hanno sempre meno prospettive di lavoro.
Si è arrivati ad un punto di non ritorno: o si fanno le riforme (e le si devono fare al più presto), o la strada che ci porta al default sarà in discesa. Le riforme necessarie, ormai, le conosciamo tutti: innalzamento dell’età pensionabile, privatizzazioni, liberalizzazioni e taglio degli sprechi nella pubblica. Checchè se ne dica, la politica sembra immobile, con, da una parte la maggioranza impegnata a fare i conti con i numeri per mantenere in vita l’esecutivo, dall’altra parte la sinistra che deve trovare la sua identità in campo politico-economico: liberale o statalista?
Nel frattempo, però, appena si è detto che il Governo ha deciso di mettere mano alle pensioni (finalmente), i sindacati, con la CGIL, hanno alzato un muro. Bisogna chiarire una cosa: in Italia vi è l’età pensionabile più bassa d’Europa; ci sono le baby pensioni, che di fatto sono un spreco, visto che si danno soldi pubblici a persone che hanno lavorato al massimo venti-venticinque anni. Ora, con questa situazione è più che giusto aumentare l’età pensionabile, portarla ad un’età ragionevole come i 67 anni. I soldi che si risparmiano con le pensioni, possono essere investiti nello sviluppo industriale, nell’istruzione, nelle infrastrutture.
Ma c’è un altro punto importante: la disoccupazione giovanile. Il tasso dell’inattività lavorativa da parte dei giovani è arrivato al 30%. Un dato inaccettabile. E’ evidente davanti agli occhi di tutti, che è difficilissimo trovare un posto di lavoro. Innanzitutto, bisogna far capire ai giovani, che il posto fisso è un’utopia, nessuno lo avrà più. E’ inutile che si protesti con la richiesta del posto fisso: è una domanda alla quale non può esserci risposta. Il futuro è nella flessibilità, che non vuol dire precarietà. I giovani che vogliono entrare nel mondo del lavoro devono adeguarsi alla flessibilità, altrimenti rimarranno disoccupati a vita. E’ ovvio, che non si può dire sì alla flessibilità lavorativa, senza ricevere qualcosa in cambio: è giusto, per i giovani che decidono di essere “flessibili”, che la busta paga sia più pesante, in modo tale da invogliare il ragazzo a produrre reddito, a produrre sviluppo. Inoltre, per essere realmente flessibili, lo Stato dovrebbe “addestrare” i giovani ad essere pronti a passare da un campo all’altro: per esempio è possibile per un dipendente passare da un’azienda informatica, ad un’azienda che si occupa tutt’altro.
Il futuro è questo. Sicuramente non è roseo come quello che hanno avuto le generazioni passate, ma solo così si può avere un lavoro, chi è in cerca del posto fisso, non troverà niente. A meno che non sia raccomandato da qualche santo in paradiso.

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