lunedì 7 novembre 2011

Bersani riempe piazza S. Giovanni, ma non fa proposte credibili



da Akropolis Mag


di Marco Mitrugno


IL PD IN PIAZZA: TANTO FUMO E NIENTE ARROSTO



“In nome del popolo italiano”. E’ stato questo lo slogan scelto dai democratici per la manifestazione di sabato scorso a Roma. Manifestazione che voleva offrire la ricetta (dal punto di vista del Pd) alla crisi globale che sta attanagliando i bilanci degli Stati europei e non solo. Una folla immensa, gli iscritti e i simpatizzanti del partito di Bersani si sono riuniti nella piazza che il 15 ottobre è stato il teatro degli scontri tra black bloc e forze dell’ordine. Una folla, però, che non era lì per fare proposte, ma era lì ancora una volta per contestare Berlusconi. Attenzione, non so se vogliono prendere le difese di Berlusconi, anzi. Ma il premier è ormai morto politicamente e insieme a lui è morto l’antiberlusconismo.
In questo periodo l’Italia ha bisogno di riforme strutturali, non di partite di ping-pong, dove una parte scarica sull’altra le responsabilità della crisi. Il Bersani che ha parlato ieri dal palco della piazza sembrava quello che appare su Sky, lo “sgommato”, che non offre soluzioni, ma è ossessionato dalle dimissioni di B. E in effetti anche Silvio non ha cambiato copione: “Vado avanti. Ho i numeri”. Sembrava di essere sintonizzati su un canale satellitare. Il Pd, ha fatto una secca svolta a sinistra: ha accusato le destre europee di essere le responsabili della crisi; Bersani ha parlato di socialdemocrazia; ha attaccato la Merkel e Sarkozy, aizzando il popolo democratico, ma non ha offerto soluzioni. Non si è sentita una parola riguardante l’occupazione giovanile, non si è parlato di privatizzazioni, di liberalizzazioni. Ed allora una cosa è certa: Bersani non ha parlato in nome del popolo italiano: al massimo avrà parlato a nome della CGIL, che si ostina a dire “NO” ad ogni proposta che viene fatta.
A questo punto riesce difficile vedere il Terzo Polo convergere con il Pd: ci sono delle differenze abissali. Per esempio, la coalizione che racchiude Fli, Udc, Api e Mpa è a favore dell’innalzamento dell’età pensionabile. Il partito di Bersani è spaccato a metà: da una parte ci sono le anime più liberali (vedi Renzi), dall’altra c’è l’ala che vuole mantenere aperti i rapporti con Vendola, Di Pietro e la CGIL, perché ne sono a conoscenza dalle parti dei democratici: se il partito si schierasse a favore della riforma previdenziale, i voti provenienti dalla CGIL e dalla franchigia più a sinistra dell’elettorato Pd, andrebbero a finire nelle mani di Sel, che sarebbe fiero di arrivare intorno al 15%.
E proprio a proposito della spaccatura interna al Pd, bisogna fare una breve analisi. Ad oggi non possiamo sapere se Renzi sia un demagogo o meno, lo scopriremo con il tempo. Certo è che l’atteggiamento di molti militanti del Pd sia anti-democratico, da vecchio Partito Comunista, dove chi dissentiva dalla linea ufficiale veniva cacciato senza diritto di replica. Questo la dice lunga sull’aspetto conservatore che ha il partito e la sua base: dal loro punto di vista l’economia va rilanciata con una politica neo-statalista. Ma forse, sono poco informati, perché dovrebbero sapere che sessant’anni di politica statalista e dissennata ci ha portato in questa situazione, sull’orlo del baratro.
Infine, si apprende che il Pd sta pensando di presentare una mozione di sfiducia. Forse una mossa sbagliata, visto che si permetterebbe a Berlusconi di rinascere nuovamente. Ma tant’è che dalle parti di piazza Sant’Anastasia stanno pensando a questo.
Un ultimo appunto: caro Gigi Bersani, la smetta di usare quel “compagni”, è un termine anacronistico; lei non è il leader del mitico Pci, ma del Pd, un partito che non sa dove andare. 

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